In tutte le popolazioni antiche i guerrieri hanno sempre rivestito un importante ruolo sia nella difesa del proprio territorio e della tribù, sia nella conquista di nuove terre. I popoli del nord Europa non erano da meno e anzi, proprio i vichinghi erano conosciuti e temuti soprattutto per le loro capacità belliche: ferocia, grande ambizione di conquista, inesistente paura della morte, fortissima determinazione nel combattimento. La filosofia del guerriero nordico è particolare: incurante del risultato finale, la morte sul campo di battaglia in contrapposizione alla vittoria era condizione ben accetta e addirittura auspicabile. Odino, Padre di Tutti, è chiamato Valföðr (Padre dei Caduti o dei Prescelti), e Valgautr (Gautr dei Prescelti), Valtýr (Dio dei Caduti), ma anche Valkjósandi (che sceglie i Caduti). In tali nomi si può riscontrare come alla stessa divinità sia cara la Battaglia, e non potrebbe essere altrimenti se si considera che gli Æsir, dei quali Odino era il capo, sono di ceppo aristocratico-guerriero e che Odino stesso ha una funzione guerriera. Per il guerriero nordico, il cui simbolo è il Valknut (Nodo dei Caduti), la morte in battaglia era un grande onore che gli avrebbe permesso di entrare a buon diritto nella Valhalla, tra le schiere degli Einherjar e godere del privilegio di combattere al fianco degli Déi durante il Ragnarök. Così come accadde nel medioevo per i guerrieri nipponici dopo la pace Tokugawa, anche i guerrieri nordici a seguito della forzata cristianizzazione, si ritirarono poco a poco dai teatri di scontro, venendo talvolta integrati e impiegati in realtà ben diverse dalle loro radici tribali. A differenza però dei Ryū giapponesi non trasformarono la loro “arte del combattimento” in una Via con caratteristiche spirituali. Ci vollero parecchi secoli prima che questa integrazione potesse avvenire, ed è solo in epoche recenti che si riscopre la necessità e il desiderio di avvicinarsi concretamente all’aspetto più marziale. Oggi, grazie ad uno studio più settoriale sull’uso delle armi tradizionali, si uniscono tecniche di combattimento a pratiche spirituali, facendo rivivere per quanto possibile, il guerriero che è dentro l’individuo. Se tale è la sua inclinazione. L’addestramento tecnico con le armi tradizionali, viene alternato ad una preparazione più specifica che permette al praticante di rievocare dentro di sé il culto degli Einherjar avvicinandolo agli déi di battaglia. Benché oggi non si sia più chiamati a morire per spada o ascia sul campo di battaglia, nondimeno la filosofia del guerriero nordico fa ancora parte delle radici del sangue di molti. Una spiritualità e filosofia che non può prescindere dall’addestramento tecnico e che rivela una spiritualità oggi più che mai necessaria in una società sempre più priva di valori.