Nomen omen usavano dire gli antichi romani: nel nome è racchiuso il destino.
E non si sbagliavano. Nel nome infatti è contenuta l’essenza dell’essere che ne stabilisce il rapporto con il mondo e ne definisce la funzione.
Nella Tradizione Norrena il nome riveste un’importanza particolare. Nafnfesir è il termine che anticamente indicava l’azione di dare il nome a qualcuno o a qualcosa e di regola tale atto era accompagnato da una offerta o da un dono.
All’interno di un percorso iniziatico, un individuo riceve un “nome di battaglia” che lo identifica per ciò che è e per ciò che deve fare in quel momento della sua vita.
Il nome non può mai essere scelto individualmente sulla base di ciò che piace, ne essere dato da un altro individuo, ma deve essere veicolato dagli Spiriti e dagli Déi, affinché abbia una sua funzione magico-spirituale.
Gli Sciamani del Nord Europa, al termine del loro Percorso ricevevano un Nome che era spesso uno degli appellativi di Odino, sancendo così una simbiosi con il Grande Padre, il Primo Sciamano, diventando in qualche modo compartecipi alla sua Saggezza e al suo Potere.
Il concetto che dietro il nome si racchiuda tutta la potenza magica disponibile nell’essenza del nome stesso, è una credenza che si ritrova anche in altre tradizioni.
Esiste comunque una diversità tra il nome magico o segreto (che viene conosciuto solo dall’individuo stesso e da pochi intimi) e il “nome di battaglia” che invece lo presenta al mondo con le sue peculiarità. Questo secondo appellativo nel tempo può anche mutare per lasciar spazio ad uno nuovo. Il concetto è abbastanza semplice e ha una sua logica: l’acquisizione di un nome di questo tipo è relativo ad un’Iniziazione, quindi ad una morte e conseguente rinascita. In tale ottica pertanto un individuo che cammina lungo una strada iniziatica, in funzione di avanzamenti e Iniziazioni, acquisisce un nome diverso da quello precedente che ne sancisce le sue nuove funzioni davanti al mondo.
Úlfgaldr Valtýsson