Blót è un termine norreno (neutro) che identifica un’azione rituale compiuta mediante l’uccisione di una vittima sacrificale. La forma proto-germanica ricostruita è *blōtą il cui significato sta per “sacrificio, adorazione”. A questo si collega il verbo proto-germanico *blōtaną da cui deriva il gotico blōtan, antico norvegese blóta, antico inglese blōtan, sempre con il senso di “sacrificare, offrire, adorare”. Il termine blót come “sacrificio di sangue” ha dato vita all’inglese blood e al tedesco blut. Entrambi i termini vengono tradotti nelle rispettive lingue con “sangue”.
Tale traduzione non deve stupire, in quanto sia l’attuale lingua inglese che quella tedesca discendono dalla lingua norrena, il cui ceppo appartiene alle lingue indoeuropee.
In merito all’atto in sé, è necessario osservare che anticamente si usava sacrificare animali come Offerta agli Dèi in occasione di alcune importanti celebrazioni annuali come il Vetrablót, lo Jólablót o i Dísablót (questi ultimi officiati da donne), per citarne solo alcuni. Mediante un semplice rituale la vittima veniva consacrata e uccisa. Tale atto non era mai cruento ed era ben lontano dalla concezione attuale di macellazione. Il blót era un atto investito di sacralità mediante il quale si accompagnava la vittima verso gli Dèi (entrava in qualche modo a far parte del loro Piano) e contemporaneamente la si integrava dentro di sé mediante l’assunzione della sua carne. Si acquisiva in questo modo la forza vitale dell’animale che continuava a vivere dentro l’individuo. Con il sangue della vittima si aspergevano l’altare, le pareti del tempio e le statue che rappresentavano gli Dèi. Spesso anche i partecipanti al Rito venivano “spruzzati” con il sangue della vittima. La carne veniva poi bollita e la parte ritenuta migliore veniva offerta agli Dèi. Il resto veniva consumato in comunanza.
Per comprendere meglio questa pratica decontestualizzata dalla cultura attuale è necessario avere rudimenti di Magia, almeno per come tutte le popolazioni arcaiche la interpretavano. È risaputo come il sangue contenga tutti i nutrimenti della vita stessa e pertanto, come nutrimento, esso era ritenuto un veicolo di eccellenza. Questo è il motivo per il quale in tutte le culture ancestrali esso veniva offerto alla divinità.
Talvolta il sangue era versato al suolo per favorire la fertilità della terra e delle messi.
Cita un vecchio detto: “l’acqua purifica, il sangue consacra”.
Oggi più che mai i blót sono necessari. Servono non solo per nutrire gli Dèi dopo un loro lungo sonno durato migliaia di anni, ma altresì per ristabilire quel legame antico tra uomo e divinità che molti di noi hanno ancora.
Negli attuali blót non vengono più sacrificati animali ma vegetali, in particolar modo mele. Oggi viviamo una realtà che è decontestualizzata dall’antichità e pertanto quella di sacrificare animali risulterebbe un’azione inutile. Questo è il motivo per il quale come vittime sacrificali si utilizzano vegetali, in particolar modo le mele. Nel tempo arcaico queste ricoprivano una certa importanza. A tal proposito si rammenti il racconto del furto delle mele operato da Loki ai danni della dea Idhunn, custode dei frutti che mantengono giovani gli Dèi, a sottolineare la funzione rigeneratrice di questo frutto. E ancora: si ha menzione che durante l’Álfablót, rito famigliare che veniva svolto verso la metà di novembre, fosse uso tagliare un melo in onore degli Elfi per assicurare protezione alla famiglia e rivivificarne la forza attraverso gli Avi.
Usare le mele come vittime sacrificali quindi non è meno importante del sacrificare animali. Il sangue delle mele (succo) non è rosso come quello di un animale, ma il senso e il valore dell’atto sacrale non muta perché il vegetale è comunque un essere vivente.
Il Rito anche in questo caso dunque non ha solo un valore simbolico ma è un vero e proprio mezzo di contatto con la divinità che viene nutrita attraverso l’atto e la vittima.
Nutrimento che viene poi contraccambiato dalla divinità stessa.