I Nordici si nutrivano di un’ampia varietà di alimenti. Nonostante il rigido clima della Scandinavia era possibile trovare diversi tipi di cibo, compresa frutta e verdura e ciò che non era reperibile tramite l’agricoltura e l’allevamento poteva essere ottenuto commerciando con i Paesi dal clima più temperato. Due pasti al giorno erano la consuetudine per i Vichinghi: il dagmál, pasto del mattino e il náttmál consumato alla fine della giornata. In questo contesto il pasto mattutino assume, esotericamente parlando, una precisa funzione rigenerativa. La sensazione di fame che si avverte al risveglio indica che durante la notte lo spirito ha viaggiato attraverso i Mondi depauperando così le riserve del corpo, il quale ha fornito allo spirito l’energia necessaria per il suo viaggio.
Il bestiame per le popolazioni del Nord era il mezzo di sostentamento primario. Ciò è confermato dai reperti osteologici e dagli insediamenti ritrovati.
La presenza inoltre di cibo trovata in molte tombe dell’età del ferro (in modo particolare in Danimarca) fa supporre che gli alimenti lasciati dovessero fornire nutrimento al defunto al momento del risveglio nell’aldilà, soddisfacendo in questo modo la necessità più immediata del defunto che non avrebbe cercato di ritornare tra i vivi per recuperare nutrimento.
Manzo, montone, agnello, capra, maiale e cavallo venivano mangiati in tutti i territori e insediamenti. Nonostante durante l’età vichinga si cacciasse e si consumasse selvaggina, la quantità utilizzata era scarsa se comparata a quella prodotta in ambito domestico. Fanno eccezione le zone più settentrionali della Svezia e della Norvegia dove la selvaggina era molto più importante e rappresentava la quasi totalità della carne consumata: daino, alce, renna e lepre erano i principali animali cacciati oltre al cervo, all’orso, al cinghiale e allo scoiattolo (quest’ultimo soprattutto per la pelliccia).
L’allevamento caseario ricopriva un’importanza primaria nel nord della Svezia e della Norvegia, essendo mucche e capre i principali animali impiegati nella produzione. Durante il Medioevo solo il pane e altri tipi di alimenti di derivazione cereale rimpiazzarono lentamente nella maggior parte della popolazione i latticini, anche se in alcuni punti della Scandinavia i derivati del latte rimasero gli alimenti più importanti fino al diciannovesimo secolo.
I norvegesi avevano risorse ittiche molto ricche e le ampie quantità di pesce a disposizione fornivano più del 25% delle calorie quotidianamente consumate (merluzzo, aringhe, gamberi, ma anche salmone per le acque dolci). Anche le balene rappresentavano un cibo importante durante il periodo vichingo. Nelle saghe sono spesso menzionati conflitti nati dalle dispute riguardo i domini legali di un proprietario terriero sulla carne, il grasso e le ossa delle balene spiaggiate. L’uscita in mare per la caccia alle balene era assai rara e probabilmente solo in Islanda e nelle isole Faoer si adottò questo metodo di caccia. Venivano cacciate anche focene e foche il cui prodotto principale era il grasso che veniva mangiato in sostituzione del burro.
Resti di pane sono stati rinvenuti in diversi siti dell’età vichinga principalmente in Svezia (Birka e Helgo) e in Danimarca. Il pane di Birka veniva cotto su una piastra di ferro perché i forni per la cottura del pane non erano molto diffusi e si ritiene che i questi si siano sviluppati in conseguenza all’incremento delle coltivazioni di segale nella Scandinavia meridionale. L’orzo era il cereale più comune in Svezia e Danimarca, mentre la segale ha iniziato a diffondersi in Svezia orientale e in Danimarca fra il 1000 e il 1200.
Cibo e bevande rivestono una certa importanza anche in ambito iniziatico. Diversi sono gli esempi di come l’alimentazione ricopra un ruolo di una certa rilevanza. Nel Sacrificio iniziatico di Odino appeso all’Albero sacro per nove intere notti, lo stesso Odino dice che nessuno gli diede né pane né corno per bere, a sottolineare come in taluni passaggi iniziatici la privazione del cibo ricopra una parte significativa per accedere a stati di coscienza più elevati. Un rituale analogo è menzionato nel mito del “Dio torturato” che vede ancora Odino come protagonista.
Al contrario, raggiunto uno stato superiore, cibo e bevande diventano mezzi di sostentamento sacrali: nella Valhöll ogni giorno per i guerrieri di Odino, gli Einherjar, viene cucinato Sæhrímmnir il cinghiale considerato cibo dell’immortalità, così come sempre in Valhalla viene bevuto l’idromele che sgorga dalle mammelle della capra Heiðrún e del quale gli stessi guerrieri si nutrono.
Non meno importante è la figura del cuoco che riveste un ruolo sacrale in quanto guardiano del “calderone” contenente il cibo capace di trasmettere la forza vivificante a coloro che se ne nutrono.
Di questa portata è la figura di Andhrímnir, il cuoco il cui compito è cucinare ogni giorno il cibo per gli Einherjar.
L’Isnardi sostiene che “il cibo è considerato un elemento che agisce sulla qualità dell’essere”. Esso amplifica dunque le qualità stesse dell’individuo qualora questi si nutra di alcune parti specifiche dell’animale, come il cuore e il sangue, o donandogli particolari facoltà come accadde a Sigfrido che, portandosi in bocca il dito scottatosi mentre cucinava il cuore del drago Fafnir, inizia ad intendere il linguaggio degli uccelli.
Il bisogno di cibo è la necessità primaria nel momento in cui la vita si manifesta.